Il termine ascetismo deriva da „ascesi” (dal greco antico askesis), una parola che in origine significava esercizio, allenamento di un atleta per il superamento di una prova. Tale “prova” nella vita spirituale è la scoperta della propria libertà. Gesù stesso formulava sempre così le sue chiamate: „se vuoi essere… perfetto, …seguire me, …essere mio discepolo” ecc. facendo riferimento alla libertà fondamentale della persona. La scoperta di questa fondamentale libertà davanti a Dio si vive come l’ascesi.
Nell’uso comune la parola “ascesi” ha un significato negativo: rinunce, sacrifici, penitenze. Come si può definire l’ascesi in senso positivo?
L’ascesi primariamente non è una esperienza negativa in senso della percezione della propria miseria, dei propri limiti, la gravità dei propri peccati, bensì si propone come una esperienza positiva, esultante, entusiasmante che ha come contenuto il desiderio di conquistare la propria libertà. Il cammino verso la maturità personale include anche il desiderio di non essere dipendenti dai bisogni e dai condizionamenti, ma essere padroni della propria vita. Questo cammino verso la libertà interiore si esercita attraverso rinunce, digiuni, sacrifici.
Quali sono le forme dell’ascesi, o forse meglio chiamarla dall’ora in poi, gli strumenti del “combattimento per la libertà”?
È utile distinguere due forme di libertà. Il primo aspetto della libertà è essere liberi da condizionamenti, dalle diverse dipendenze, dai bisogni artificiali; il secondo aspetto è essere liberi per amare, servire, crescere.
La lotta per la libertà da condizionamenti si esercita attraverso rinunce, sacrifici e perseveranza. Si tratta della disciplina nella vita. La logica di questi esercizi è la seguente: il digiuno = io mangio quanto e quando voglio e non sono dipendente dalla qualità del cibo o dal mio appetito; la veglia = io dormo quanto e quando voglio e non sono dipendente dalla qualità del letto o della coperta); il lavoro = io svolgo i miei doveri con responsabilità anche se sono stanco o non mi piace ciò che devo fare; la rinuncia = io sono capace di rimandare un piacere immediato per una soddisfazione più grande in futuro.
Come può aiutare l’ascesi nel confronto con la situazione di crisi, concretamente adesso quando siamo oppressi dalla pandemia del Covid-19?
L’esito positivo dell’ascesi è il senso di competenza, cioè la convinzione che sono capace gestire la propria vita e conseguentemente, affrontare anche le situazioni difficili nel mondo esteriore. Questo senso di competenza si manifesta in tre dimensioni. Ogni sforzo ascetico rischiara la mente così che possiamo valutare più chiaramente la complessità della situazione; corrobora la volontà così che possiamo agire con più determinazione; e nobilita le emozioni così che possiamo aprirsi per il bisogno degli altri. Quest’ultimo frutto dell’ascesi apre in noi un nuovo orizzonte della nostra propria personalità: la responsabilità. Sentirsi responsabili per gli altri, sia dentro la propria famiglia, sia in un contesto sociale più ampio, è segno di elevata maturità personale. In una situazione di crisi questo nuovo livello della maturità personale manda il continuo messaggio rassicurante: “Io non sono vittima della situazione, ma sono padrone”.
Si potrebbe trovare un esempio evangelico come punto di incoraggiamento?
L’esempio più adatto per responsabilità per gli altri è la parabola di Gesù su buon samaritano (Lc 10, 29-37). Il particolare di questo atto di misericordia è, che nessuno ha chiesto aiuto dal Samaritano, l’iniziativa era tutta sua. Sono tre condizioni, o tre passi, per giungere a tale concezione della misericordia.
1. Vedere – Il buon samaritano ha visto l’uomo bisognoso di aiuto. La misericordia inizia con gli occhi: vedere. Purtroppo, noi spesso non vediamo il bisogno dell’altro, o perché siamo troppo preoccupati con i propri problemi, o perché non abbiamo occhio per gli altri. L’ascesi ci libera dall’esagerata preoccupazione per noi stessi e apre i nostri occhi al bisogno degli altri.
2. Avere compassione – La misericordia continua con il cuore: sentire il dolore dell’altro, identificarsi con la sua sofferenza. La capacità di avere compassione segnala che non siamo pieni di noi stessi, bensì vi è posto nel nostro cuore, nella nostra vita, anche per gli altri. Tale nuova capacità di compassione è il frutto dell’ascesi.
3. Agire – Il buon samaritano ha curato le ferite del bisognoso. La misericordia si conclude con le mani. Bisogna fornire aiuto concreto. L’ascesi ci prepara per carità operosa. Il volto umano della misericordia ha la seguente logica: “Qualcuno ha bisogno di me!” Questa scoperta è il frutto più prezioso dell’ascesi.