Decalogo VI: comunione

         Comunione significa condividere con gli altri la propria situazione di crisi. L’isolamento impoverisce; la comunione è invece ricerca sapiente della persona alla quale aprire il cuore e chiedere assistenza. Prioritariamente, tale persona è Dio. Fratelli e sorelle partecipano al travaglio della crisi mediante la solidarietà operosa, con la loro amicizia.

Domanda

         Chi entrano in questo cerchio di persone come possibili interlocutori?

Risposta

         Il primo interlocutore in ogni situazione di crisi per noi credenti è Dio. Esempi per tale comunione sono i Salmi che spesso riportano le lamentele, ma anche la fiduciosa preghiera dell’uomo che chiede aiuto da Dio. Un buon esempio è il Salmo 66,20: “Benedetto sia Dio, che non ha respinto la mia preghiera e non mi ha negato la sua grazia”.

         Noi credenti abbiamo diversi punti di riferimento di appartenenza ad una comunità. Il Catechismo della Chiesa Cattolica enumera le diverse comunioni.

         La Chiesa è comunione dei santi: Questo termine designa la comunione delle persone sante nel Cristo che è morto per tutti, in modo che quanto ognuno fa o soffre in e per Cristo porta frutto per tutti.

         Noi crediamo anche alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa. Noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere. (CCC, 960-962).

         Invocare perciò i Santi, pregare per i nostri cari defunti, significa vivere una comunione che ci aiuta a superare i momenti di crisi.

Domanda

         Il senso della comunione sembra sia un’esperienza universale?

Risposta

         La convinzione di poter contare sulla presenza e sulla comprensione degli altri è un’esperienza universale. La letteratura è piena di espressioni che indicano l’effetto liberatorio della condivisione:

         “Quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze.” (William Shakespeare). – “Gioie e dolori vanno condivisi: le prime perché si raddoppino, i secondi perché si dimezzino.” (Giovanni A. Barraco). – “Puoi dimenticare la persona con cui hai riso, mai quella con cui hai pianto.” (Khalil Gibran). – “Ogni sofferenza è unica e ogni sofferenza è comune. Bisogna che la seconda verità mi sia ripetuta quando soffro, e la prima quando vedo gli altri soffrire.” (Henri De Lubac). – “La felicità raduna, il dolore riunisce.” (Paul Charles Bourget). – “Regalare il proprio dolore agli altri è il più bell’atto di fiducia che si possa fare.” (Alessandro D’Avenia).

Domanda: Perché è importante poter parlare con qualcuno?

Risposta: Per ogni persona il poter parlare comporta un grande beneficio. Mentre parla, infatti, l’uomo si sente vivo, perché la parola è anzitutto fonte di percezione di sé stessi e della propria identità. La parola è il luogo in cui la persona prende consapevolezza di sé.

Il parlare è il luogo d’incontro; presuppone sempre un tu: la parola aggrega. Noi parliamo con qualcuno, con un interlocutore e in questa comunicazione sperimentiamo il dono dell’affiliazione, di stare insieme agli altri, di sentirsi profondamente parte dell’esistenza degli altri. Oggi si spesso ripetono due verità in questo senso: “Nessuno è una isola per sé”.  “Nessuno si salva da solo; tutti ci troviamo nella stessa barca”.

Il parlare costituisce per ogni uomo un potente fattore di apprendimento e di sviluppo intellettuale per la stretta correlazione che esiste tra pensiero e parole. Parlando con altri impariamo come hanno affrontato loro la crisi.

Raccontare un’esperienza ad un altro è sempre chiarire a sé stessi. Molto spesso situazioni assai complicate, che una persona sente di vivere dentro di sé, si semplificano enormemente quando ne può parlare ad un altro. Mentre ci sforziamo di raccontare la nostra esperienza ad un altro, noi stiamo chiarendo la situazione a noi stessi. La soluzione spesso non sta nel modificare la situazione, ma nel modo di vederla e di rapportarsi ad essa.

Parlare dei propri problemi vuol anche dire esorcizzare. Esprimendo ad un’altra persona il proprio problema, siamo portati a ridurre la minaccia della situazione e guadagniamo la sicurezza per poter controllarla. Affrontare una minaccia di solito aumenta il coraggio di combatterla.

Domanda

         Si può pensare a qualche incoraggiamento proveniente dal Vangelo?

Risposta

         Un incoraggiamento evangelico ci viene in aiuto da quell’episodio quando Gesù chiama i suoi discepoli dopo la faticosa missione apostolica: “Venite a disparte e riposate”. (Mc 6, 31). È utile notare che Gesù ascolta il resoconto dei suoi discepoli: le loro gioie, ma anche il loro insuccesso. Gesù dimostra di comprendere a fondo il bisogno concreto delle persone: sia la stanchezza dei corpi che dei cuori di coloro che sono chiamati ad annunciare il vangelo e comprende pure la fame di parole e di pane di coloro che vagano senza guide, incapaci di dare un senso al loro cammino.

         È un invito che Gesù rivolge anche a noi, soprattutto in questo tempo di crisi che ci opprime con preoccupazioni, provoca paure e ci rende smarriti riguardo il futuro. Gesù ci incoraggia di parlare di tutte queste cose con lui e ci assicura, come ha detto in un altro contesto: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”. (Mt 11,28).